Vendevano online prodotti che non avevano: Antitrust bacchetta due negozi virtuali

Telecamere, detersivi, pannolini, biscotti: tutta merce acquistata e mai ricevuta. Le tantissime segnalazioni di clienti truffati dai siti Mevostore e sottocosto.online hanno indotto Antitrust a indagare. E proprio nei giorni scorsi è arrivato il primo verdetto: i due siti devono smettere di vendere merce che non hanno in magazzino, pena una multa che può arrivare fino a 5 milioni di euro per pratica commerciale scorretta.
Il modus operandi dei due siti non è troppo originale ma di certo efficace: già in passato diversi negozi online, dietro i quali spessi si nascondono organizzazioni criminali, hanno adottato la stessa strategia per fare soldi facili. I due procedimenti di Antitrust sono quasi identici: Mevostore e sottocosto.online non informano il cliente, al momento dell’acquisto, del fatto che la merce non c’è. Anzi, Mevostore comunica persino una data di consegna del tutto fasulla. Passati un po’ di giorni, e arrivate le prime lamentele degli acquirenti, i siti cominciano a fare “melina”: parlano di generici problemi di logistica e rassicurano che è solo questione di tempo e che, in ogni caso, il rimborso è garantito.
Dalle segnalazioni inferocite di molti consumatori, però, la realtà è diversa: arriva sempre un momento in cui il servizio clienti smette di rispondere. E per rimanere coerenti Cliccatissimo srl, cioè la società che detiene Mevostore, e Promotional Trade, proprietaria di sottocosto.online, non hanno risposto neanche ad Antitrust. Non è tutto: ai clienti del sito che intendono far valere i propri diritti vengono messi i bastoni tra le ruote. L’autorità ha sottolineato infatti come né su Mevostore né su sottocosto.online ci sia alcun modulo per esercitare il diritto di recesso né alcun link a piattaforme per la risoluzione extragiudiziale delle controversie. Nel caso di sottocosto.online ai clienti viene addirittura chiesto di mandare un fax per anticipare l’invio di una raccomandata in cui si chiede il rimborso.

Cosa si può fare. Secondo quanto dichiarato su TrustPilot, il popolare sito di recensioni, molti consumatori hanno sporto denuncia ai Carabinieri, alla Guardia di Finanza e alla Polizia Postale. “La denuncia per truffa telematica va sempre fatta in questi casi. Chi si costituisce in giudizio può infatti ottenere un risarcimento per il danno subito. Ma online c’è un vero far-west e spesso cercare il colpevole è come andare a caccia di farfalle” spiega Domenico Romito di Avvocati dei Consumatori, esperto per Diritti & Consumi di Repubblica. “Bisogna sperare anzitutto che i responsabili siano rintracciabili, e poi che vogliano evitare una condanna per truffa, che in Italia comporta pene piuttosto blande”.

Avvocati dei Consumatori chiede – e non è l’unica associazione di settore a farlo – maggiori garanzie per i clienti dei negozi virtuali. “Oggi chiunque può aprire un sito, mettere in vendita a prezzi stracciati merce che non ha e sparire dopo aver raggranellato centinaia di migliaia di euro. Il legislatore dovrebbe fare qualcosa. Un esempio? Per vendere online bisognerebbe presentare una fideiussione, in modo da garantire i clienti in caso di problemi” suggerisce Romito.
Nel frattempo qualche accorgimento possiamo prenderlo anche noi. I due siti finiti nel mirino di Antitrust, ad esempio, non accettavano carte di credito ma solo bonifici, ricariche PostePay e Bitcoin. Già questo è un campanello di allarme sufficiente per cambiare aria.

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